Negli ultimi anni, l’attenzione sull’avvelenamento da metalli pesanti è cresciuta, con particolare preoccupazione per il mercurio presente nel pesce. Ma da dove proviene e quali rischi comporta per la salute? In questo articolo rispondo a queste domande, con un breve riassunto sugli effetti del mercurio e su come limitarne l’esposizione.
Il mercurio (Hg) è un elemento naturale presente nell’aria, nell’acqua e nel suolo. Viene rilasciato nell’ambiente da fenomeni naturali come l’attività vulcanica e l’erosione delle rocce, ma le attività umane sono la principale fonte di contaminazione. Le più impattanti includono la combustione del carbone (sia nelle centrali elettriche che per uso domestico), i processi industriali, gli inceneritori e l’estrazione di mercurio, oro e altri metalli.
Una volta disperso, il mercurio può essere trasformato in metilmercurio (CH₃Hg⁺) dai batteri anaerobi nei sedimenti marini e nelle acque dolci. Questo composto, altamente tossico, si accumula nei tessuti degli organismi viventi e si concentra lungo la catena alimentare attraverso due processi:
L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera il mercurio una delle dieci sostanze chimiche più pericolose per la salute pubblica.
La principale via di esposizione umana è il consumo di pesce contaminato da metilmercurio. Questo composto viene assorbito rapidamente dal tratto gastrointestinale e attraversa barriere biologiche cruciali, come la placenta e la barriera emato-encefalica (tra il sangue e il sistema nervoso centrale). L’eliminazione è molto lenta, favorendone l’accumulo.
Una volta ingerito, il metilmercurio si lega alle proteine intracellulari e agli antiossidanti, interferendo con processi biologici essenziali. Di seguito, alcuni tra i principali effetti tossici.
Sistema nervoso: provoca danni ai neuroni e alla mielina, con conseguenti problemi cognitivi, tremori, perdita di coordinazione e deficit dell’apprendimento nei bambini esposti in utero.
Sistema immunitario: riduce l’attività di enzimi antiossidanti, favorendo l’accumulo di radicali liberi. È stato inoltre associato a una diminuzione dell’attività delle cellule Natural Killer, fondamentali per la risposta immunitaria.
Sistema cardiovascolare: diversi studi hanno correlato l’esposizione al mercurio a un aumento del rischio di infarto miocardico, aterosclerosi, ipertensione e disfunzione coronarica.
Nel 1956, la Baia di Minamata, in Giappone, fu contaminata da metilmercurio scaricato da un’industria chimica. Un episodio simile si verificò nel 1965 nella prefettura di Niigata, causando in entrambi i casi l’avvelenamento di migliaia di persone che avevano consumato pesce contaminato.
La sindrome di Minamata provocava gravi sintomi neurologici, tra cui paralisi, restringimento del campo visivo, disturbi uditivi, tremori e danni permanenti al sistema nervoso. Particolarmente allarmante fu il caso di madri esposte durante la gravidanza, che, pur avendo sintomi lievi o assenti, partorivano bambini con gravi disturbi neurologici.
Molti pazienti presentavano lesioni cerebrali estese, e oltre ai casi acuti si registrarono numerosi episodi di avvelenamento cronico, con sintomi che emergevano gradualmente.
Il continuo rilascio di mercurio nell’ambiente e gli effetti negativi dimostrati sull’uomo hanno portato all’adozione della Convenzione di Minamata sul mercurio nel 2013. La Convenzione obbliga i governi firmatari a gestire le emissioni nell’aria e a eliminare gradualmente alcuni prodotti contenenti mercurio.
La maggior parte dei paesi e delle organizzazioni internazionali fissa un limite massimo di mercurio nel pesce intorno a 0,5 mg/kg. In particolare, il Regolamento (UE) 2022/617 ha stabilito un limite di 0,5 mg/kg per la maggior parte delle specie ittiche, e di 1 mg/kg per specie predatrici come squalo, pesce spada e tonno.
L’EFSA, Autorità europea per la sicurezza alimentare, ha analizzato rischi e benefici del consumo di pesce, stimando quante porzioni siano necessarie per ottenere un adeguato apporto di omega-3 senza superare i limiti di sicurezza del mercurio.
Ha evidenziato che il consumo di specie con alto contenuto di metilmercurio può far superare rapidamente la soglia di sicurezza (<1-2 porzioni a settimana), senza garantire un apporto sufficiente di omega-3.
Per questo consiglia di preferire 1-4 porzioni settimanali di specie di piccola taglia e a basso contenuto di mercurio.
Chi non consuma pesce, come vegani e vegetariani, può ottenere gli omega-3 direttamente da fonti vegetali.
Anche tra gli onnivori, però, l’apporto di omega-3 è spesso insufficiente: le quantità raccomandate di pesce potrebbero non bastare a coprire il fabbisogno, e cottura o congelamento possono ridurne ulteriormente il contenuto. Per questo, è utile integrare anche con fonti vegetali.
Secondo il PiattoVeg per coprire il fabbisogno stimato di omega-3 a prescindere dall’apporto calorico, è sufficiente consumare due porzioni giornaliere di cibi ricchi di acido alfa-linolenico (ALA).
Una porzione corrisponde a:
- Olio di lino (conservato in frigo, dopo catena del freddo) – 5 g (1/2 cucchiaio).
- Semi di lino, macinati prima del consumo – 10 g (1 cucchiaio).
- Semi di chia, macinati – 15 g (1,5 cucchiai).
- Noci – 30 g (3 cucchiai).
In seguito, il nostro organismo può convertire l’ALA in EPA e DHA, acidi grassi omega-3 a catena lunga. Tuttavia, questa conversione è limitata ed è influenzata dalla quantità di omega-6 presenti nella dieta. Sembra essere più efficiente quando il rapporto omega-6/omega-3 si avvicina a 1:1. In ogni caso, viene generalmente considerato ottimale un rapporto inferiore a 4:1.
I principali grassi omega-6 sono l’acido linoleico e l’acido arachidonico.
Tra gli alimenti più ricchi di acido linoleico troviamo la maggior parte degli oli vegetali (esclusi olio di lino, canapa e oliva), maionese, margarina e lardo.
Tra quelli ricchi di acido arachidonico: strutto, pollo, tacchino, uova e suino.
Alle donne vegetariane, vegane o che non consumano pesce a sufficienza durante gravidanza e allattamento, si consiglia un’integrazione quotidiana di DHA da microalghe, per coprire l’aumentato fabbisogno.