Indubbiamente una delle domande che l’umanità si è posta più spesso è se sia possibile non invecchiare mai. Sicuramente piacerebbe a tutti noi, ma è ovviamente impossibile. Tuttavia, oggi sappiamo che lo stile di vita ha un impatto fondamentale sui processi di invecchiamento. Vediamo quali sono e in che modo sono influenzati dall’alimentazione.
Prima di iniziare, diamo un rapido sguardo alle principali tipologie di studi su cui si basano molte delle nostre conoscenze in questo ambito.
Tra i più utilizzati in campo medico ci sono gli studi longitudinali prospettici: ricerche osservazionali in cui un gruppo di persone viene seguito nel tempo per raccogliere dati su come determinati fattori influenzano l’insorgenza o l’evoluzione di malattie.
Una loro sottocategoria sono gli studi di coorte, che seguono nel tempo uno o più gruppi con stili di vita o esposizioni differenti (ad esempio, fumatori e non fumatori), confrontando l’incidenza delle malattie nei vari gruppi. Sulla base dei dati raccolti, si calcola il rischio associato a ciascun fattore.
Naturalmente è un tipo di ricerca molto utilizzato nell’epidemiologia e nella medicina applicata alle cosiddette NCD, ossia non-communicable diseases. Si tratta delle malattie non trasmissibili e quindi non dovute a cause infettive, ma piuttosto allo stile di vita e all’alimentazione, tra cui le malattie cardiovascolari, oncologiche, il diabete di tipo 2 e l’obesità. Questi studi sono fondamentali, proprio perché tutte queste patologie si sviluppano nell’arco di diversi decenni.
Detto questo, è chiaramente impossibile farne un riassunto in questo articolo, ma ciò che osserviamo è che, alla fine, l’assoluta maggioranza fornisce risultati molto simili.
Oggi vi parlo solo di uno studio longitudinale pubblicato a febbraio 2025 sulla rivista Nature Medicine. È stato condotto dai ricercatori della Scuola di Salute Pubblica Harvard T.H. Chan, che hanno analizzato i dati provenienti da due grandi studi di coorte: Nurses’ Health Study e Health Professionals Follow-Up Study, raccolti tra il 1986 e il 2016.
È stata esaminata l’associazione tra l’aderenza a otto diversi pattern dietetici e un invecchiamento in buona salute, valutando la salute cognitiva, fisica e mentale, nonché la vita libera da malattie croniche fino a 70 anni.
Tra i diversi pattern alimentari, quello più fortemente associato a un invecchiamento sano è risultato l’AHEI.
L’Alternative Healthy Eating Index 2010 (AHEI-2010) è un indice sviluppato per misurare la qualità della dieta in relazione al rischio di malattie croniche.
L’AHEI-2010 assegna punteggi da 0 a 10 a 11 componenti dietetiche, per un massimo di 110 punti. Più la dieta è vicina a quella considerata salutare, più alto è il punteggio.
Tra i componenti salutari (punteggio più alto con maggior consumo) ci sono:
- Verdura (escluse patate)
- Frutta (esclusi succhi)
- Cereali integrali
- Legumi
- Frutta secca
- Acidi grassi polinsaturi
- Acidi grassi omega-3 (EPA + DHA)
Tra i componenti da limitare (punteggio più alto con minor consumo):
- Bevande zuccherate e succhi di frutta
- Carne rossa e lavorata
- Sodio (sale in eccesso)
- Grassi trans
- Alcol
I partecipanti con la più alta aderenza a questo indice, rispetto a tutti gli altri, avevano tra l’86% e il 124% di probabilità in più di invecchiare in buona salute, in base alla soglia d’età adottata (70 o 75 anni).
L’AHEI è risultato anche il pattern più fortemente associato al mantenimento della funzionalità fisica e della salute mentale, tra i vari aspetti dell’invecchiamento sano.
Le associazioni erano indipendenti da altri fattori legati allo stile di vita, come il livello di attività fisica, il fumo e l’indice di massa corporea (BMI).
Ma a quali meccanismi è dovuto l’invecchiamento? Oggi sappiamo che è legato a molteplici processi, ma vorrei accennarvi brevemente a due in particolare su cui si stanno concentrando molte ricerche: l’accorciamento dei telomeri e i processi epigenetici.
I telomeri sono sequenze ripetute del nostro DNA alle estremità di tutti i cromosomi, che “si consumano” un po’ alla volta a ogni divisione cellulare. Potete immaginarli come le gomme in cima alle matite, che si usurano dopo un po’ di utilizzo.
Quando i telomeri diventano troppo corti, la cellula smette di funzionare correttamente e va incontro all’apoptosi, cioè una forma naturale di morte cellulare programmata. Altrimenti, se qualche meccanismo si altera, le conseguenze possono essere molto più drastiche e portare al danneggiamento dei cromosomi e allo sviluppo del cancro.
Infatti, studi recenti hanno riscontrato che la maggior parte dei tumori umani presenta telomeri molto più corti rispetto ai tessuti sani circostanti. Purtroppo, in seguito, le cellule cancerose, grazie all’accumulo di molteplici mutazioni, trovano il modo di riattivare l’enzima che allunga i telomeri, la telomerasi, diventando così immortali.
Potete immaginare, quindi, l’enorme interesse suscitato da queste scoperte. Naturalmente, la domanda sorta subito dopo è: quali sono i fattori che influenzano il meccanismo di accorciamento dei telomeri?
Sono stati condotti molti studi sull’argomento ma mi limito a riportare solo una review sistematica del 2020, che ha analizzato i principali lavori pubblicati fino a quel momento.
I risultati non erano del tutto consistenti, ma il consumo di verdura, frutta, legumi, alimenti ricchi di fibra e caffè era associato a una maggiore lunghezza dei telomeri, o a un effetto neutro in alcuni studi.
I ricercatori hanno analizzato anche i pattern dietetici della Dieta Mediterranea, dell’AHEI e del DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension), riscontrando effetti protettivi o neutri sui telomeri.
Al contrario, un alto indice infiammatorio della dieta (DDI – Dietary Inflammatory Index) era associato a una lunghezza minore. Ma approfondirò questo aspetto in uno dei prossimi articoli, per analizzare meglio quali sono gli alimenti più o meno infiammatori.
Che il nostro genoma non cambi nel corso della vita lo sappiamo tutti fin dalle lezioni di biologia a scuola. Ma oggi si parla sempre di più dell’epigenetica (dal greco epi, “sopra”), ovvero dei processi che “accendono” o “spengono” i nostri geni in risposta a determinati stimoli.
Capite bene quanto questa scoperta abbia rivoluzionato la genetica. È un campo in rapida espansione, che sta studiando come l’età e l’esposizione a fattori ambientali, tra cui dieta e attività fisica, possano modificare l’espressione genica.
Anche qui, senza entrare troppo nei dettagli, vi parlo solo di uno studio recente, probabilmente già noto a molti grazie alla serie Netflix Sei ciò che mangi.
Si tratta di uno studio di intervento chiamato Twins Nutrition Study (TwiNS), condotto dai ricercatori della Stanford University guidati da Christopher Gardner. Sono state coinvolte 22 coppie di gemelli monozigoti, geneticamente identici, per escludere l’influenza dei fattori ereditari.
A ciascuna coppia è stato assegnato in modo casuale uno dei due regimi alimentari: uno vegano e uno onnivoro, entrambi bilanciati. All’inizio e alla fine dello studio, durato 8 settimane, sono stati confrontati numerosi parametri. Finora sono stati pubblicati tre articoli scientifici, rispettivamente sui miglioramenti metabolici, sui cambiamenti epigenetici e sulle modifiche del microbioma.
Nel secondo articolo sono stati valutati diversi indicatori epigenetici, insieme agli effetti su organi e sistemi specifici. Il gruppo vegano ha mostrato una riduzione significativa dell’accelerazione epigenetica dell’età.
Inoltre, alla fine dello studio i gemelli vegani presentavano telomeri significativamente più lunghi rispetto agli onnivori, mentre all’inizio non c’erano differenze. Questo rafforza l’ipotesi che l’allungamento sia stato un effetto diretto della dieta.
Concludo dicendo che si tratta di un argomento tanto complesso quanto affascinante, che richiederà molti altri studi e approfondimenti futuri. Con questo piccolo excursus, spero di avervi fatto riflettere su quanto ciò che mangiamo ogni giorno possa influenzare il nostro orologio biologico.
Scoprite di più:
Chiuve, S.E., Fung, T.T., Rimm, E.B., Hu, F.B., McCullough, M.L., Wang, M., Stampfer, M.J. & Willett, W.C., 2012. Alternative dietary indices both strongly predict risk of chronic disease. The Journal of Nutrition, 142(6), pp.1009–1018. doi:10.3945/jn.111.157222.
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Landry, M.J., Ward, C.P., Cunanan, K.M., Durand, L.R., Perelman, D., Robinson, J.L., Hennings, T., Koh, L., Dant, C., Zeitlin, A., Ebel, E.R., Sonnenburg, E.D., Sonnenburg, J.L. & Gardner, C.D., 2023. Cardiometabolic effects of omnivorous vs vegan diets in identical twins: a randomized clinical trial. JAMA Network Open, 6(11), e2344457. doi:10.1001/jamanetworkopen.2023.44457.
Serrano, M. & Blasco, M.A., 2007. Cancer and ageing: convergent and divergent mechanisms. Nature Reviews Molecular Cell Biology, 8(9), pp.715–722. doi:10.1038/nrm2243.
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